TAX COMPLIANCE AUTORICICLAGGIO E MODELLI DI CONTROLLO DEI RISCHI FISCALI

Avv. Tommaso Landi(1)

  1. Modelli 231 e modelli di controllo dei rischi fiscali.

Per poter correttamente comprendere tutto quello che di seguito verrà illustrato in ordine ai modelli di controllo dei rischi fiscali occorre una precisazione sulla natura e sull’importanza dei modelli di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.lgs. 231/2001, recante la “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”.

Tali presidi, nei quali, come vedremo, dal 2015 rientrano anche quelli volti a prevenire i rischi fiscali, sebbene trovino il loro presupposto in una specifica disposizione normativa,  spesso vissuta dagli Imprenditori come un’imposizione, di fatto, poi si risolvono in un mix di elementi strutturali e di processi che, se ben governati, favoriscono ed agevolano il corretto sviluppo di un’azienda, anche in termini di risultati economici.

Questo, quindi, è il punto fermo da cui partire, il concetto che deve diventare parte integrante del bagaglio culturale degli Imprenditori più illuminati i quali devono vedere la tutela dai rischi fiscali come una leva nella strategia aziendale. 

A ciò si deve aggiungere che il decreto 231/2001, sicuramente fonte di innegabili oneri, fornisce, però, anche un indubbio vantaggio, costituito dal fatto che la società in grado di provare di aver adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire la realizzazione degli illeciti penali previsti dal decreto in parola, fra cui, come vedremo, dal 2015 rientra anche l’autoriciclaggio, non risponde dei reati ivi elencati.  

Chiariti, quindi, i vantaggi di un adeguato modello di organizzazione, gestione e controllo, affrontiamo, di seguito, l’analisi dei rapporti fra il decreto 231/2001 e i rischi fiscali.   

  1. L’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’autoriciclaggio e la connessa accelerazione dell’utilizzo dei modelli di controllo dei rischi fiscali.

La creazione di un modello aziendale di controllo dei rischi fiscali si è resa necessaria a seguito dell’entrata in vigore, nel gennaio 2015,  della Legge 15 dicembre 2014, n. 186.

Tale norma ha introdotto in Italia la fattispecie penale di autoriciclaggio (2).

Il nuovo delitto così creato, poi, ai sensi dell’art. 25 – octies del D.Lgs. n. 231/2001, è stato inserito fra quelli da cui può discendere la responsabilità amministrativa degli Enti ex D.Lgs. n. 231/2001.

Ora, tali modifiche normative, unite all’evidente constatazione che la totalità dei reati tributari di cui D.Lgs. 74/2000, per natura intrinseca, producono un vantaggio economico, può portare, da parte delle Autorità competenti, alla contestazione del delitto di autoriciclaggio del risparmio d’imposta conseguito illecitamente, cui sarebbe connessa la responsabilità dell’Ente ex D.Lgs. 231/2001.

Dal 2015, quindi, nel nostro ordinamento è stato introdotto un mix esplosivo, forse non ancora correttamente inquadrato dagli Imprenditori, fra i reati tributari (in occasione dei quali si produce un illecito risparmio di imposta), le condotte che integrano il reato di autoriciclaggio (consistenti nella sostituzione, nel trasferimento o nell’impiego in attività economiche e finanziarie del denaro o delle utilità – leggasi illecito risparmio di imposta-, in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa), e la responsabilità degli Enti ex D.Lgs 231/2001.

Delineato questo quadro normativo appare quindi evidente la necessità, da parte delle Imprese, di un adeguato risk assessment.

Esso dovrebbe consistere nello svolgimento delle seguenti attività:

  1. analisi preliminare dei reati tributari, in continua evoluzione, previsti nel nostro ordinamento; 

  1. analisi della valutazione del rischio (3) con la finalità di identificare gli ambiti aziendali nei quali è più alta la possibilità che vengano commessi i reati tributari vigenti;

  1. valutazione che abbia la finalità di individuare gli elementi di debolezza del sistema dei controlli interni all’azienda volti a prevenire la commissione delle condotte fiscali penalmente illecite (4).

Tutto ciò andrà fatto con l’accorto utilizzo di un importante strumento di conoscenza e di lavoro consistente nella conduzione di “interviste” ai responsabili delle principali funzioni aziendali.

Tali interviste andranno svolte coinvolgendo sia i soggetti in posizione apicale che gli impiegati “operativi” in settori che spaziano dalla contabilità dell’Impresa alla gestione del magazzino, al fine di avere un quadro di informazioni aziendali quanto più esaustivo possibile.

Inoltre, si dovrà tener presente che molte Imprese (in generale, le PMI) si avvalgono di servizi fiscali in outsourcing, vale a dire incaricano consulenti esterni per la compilazione e l’invio delle dichiarazioni fiscali.

In questi casi, per poter svolgere un rigoroso controllo dei rischi penal-tributari si dovranno coinvolgere attivamente anche tali consulenti, creando fra tutti i soggetti interessati una rete sinergica e reattiva utile all’Impresa.

  1. Vediamo, di seguito, di sviluppare, seppur per sommi capi, i punti sopra elencati, premettendo che la presente trattazione ha carattere solo divulgativo poiché una corretta attività di creazione di un modello di rischi fiscali richiede l’utilizzo di elevate competenze multidisciplinari, risolvendosi in un’attività  legale tributaria e organizzativa estremamente delicata e complessa da adattare ad ogni singola Impresa.

3.1) Analisi del punto a)

Elenchiamo, per prima cosa, i reati  tributari, la cui consumazione, ad oggi, espone un’azienda al pericolo di una successiva contestazione di autoriciclaggio, cui discenderebbe la responsabilità ex D.Lgs 231/2001 .

Essi, in continua evoluzione, oggi sono tutti contenuti nel D.Lgs 74/2000:

  1. dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2);

b) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3);

c) dichiarazione infedele (art. 4);

d) omessa dichiarazione (art.5);

e) emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art.8);

f) occultamento o distruzione di documenti contabili (art.10);

g) omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art.10-bis) ;

h) omesso versamento dell’IVA (art.10-ter);

i) indebita compensazione (art.10-quater);

j) sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11).

3.2) Analisi congiunta dei punti b) e c)

Vediamo ora, sempre seguendo lo schema logico fornito, cosa sarebbe necessario fare per condurre una corretta analisi della valutazione del rischio e degli elementi di debolezza del sistema dei controlli, ricordando che la finalità di tale attività è quella di identificare, per ogni reato elencato, gli ambiti aziendali nei quali più alta è la possibilità che esso venga commesso, al fine di eliminare gli elementi di debolezza del sistema.

A) Partiamo dal reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti”.

Colui che si dovesse trovare a svolgere l’attività di Risk Assessment, in riferimento al reato in parola, dovrebbe, come prima attività, pianificare il coinvolgimento dei responsabili aziendali delle funzioni di amministrazione, finanza, contabilità, tesoreria e acquisti, nonché le eventuali outsourcing contabili.

I processi da verificare al fine di valutarne l’adeguatezza sarebbero quelli riguardanti:

– le modalità attraverso le quali avviene la registrazione contabile di fatture o altri documenti per cui è prevista la registrazione obbligatoria;

– le modalità di controllo che, in fase di fatturazione, hanno la finalità di garantire la correttezza dei prezzi riportati nei documenti contabili di acquisto o vendita, creando, ad esempio, banche dati contenenti prezzi di mercato (individuabili, ai sensi della normativa fisale, nel valore normale) o mercuriali/listini di riferimento, con la finalità di evitare sovrafatturazioni negli acquisti;

– le modalità di controllo volte ad identificare i fornitori, in modo da evitare che le fatture siano intestate a soggetti diversi da coloro che effettivamente forniscono beni o servizi, fattispecie penale, quest’ultima, sovente contestata alle Imprese. 

A tal proposito, al fine di creare un’efficace modello di gestione dei rischi fiscali, soprattutto per i soggetti giuridici che effettuano acquisti da fornitori numerosi, si potrebbe pensare ad un presidio di controllo sui fornitori non abituali.

Tale attività potrebbe consistere nella richiesta di visure camerali, certificati di regolarità contabile, DURC o semplici sopraluoghi, anche solo telematici (ad esempio foto aeree di google maps), volti a confermare l’esistenza delle aziende dei fornitori indicati nelle fatture d’acquisto.

Da questi check emergerebbero come soggetti a rischio, e quindi da evitare, società di recente creazione, con oggetto sociale generico o incompatibile con il business dell’acquirente, non in regola con gli adempimenti fiscali o non dotate di strutture o personale adeguato a svolgere il servizio o fornire il bene per cui si impegnano contrattualmente.

Incidendo, poi, sull’organizzazione interna dell’azienda possono essere previsti livelli autorizzativi in base ai quali gli impegni di spesa possano essere assunti solamente da organi/soggetti specificamente preposti e, se è il caso, non in autonomia.

Ciò incrementerebbe la tracciabilità del processo decisionale di acquisto e l’assunzione di una responsabilità diffusa.

– le modalità di tracciabilità dei flussi finanziari, che devono consentire l’agevole ricostruzione delle uscite finanziarie.

A tal proposito occorre precisare che questo presidio, che ormai dalla giurisprudenza non è più riconosciuto come sufficiente per un’adeguata difesa da un’accusa di falsa fatturazione, è, comunque, utile per evitare all’Ente la contestazione di aver “concretamente” ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro in contestazione.

Si deve sottolineare, infatti, che, seppur in tema di fatture per operazioni inesistenti il concreto ostacolo alla individuazione della provenienza delittuosa del provento dell’illecito, solitamente consistente nella contabilizzazione di costi fittizi, è difficilmente ipotizzabile, occorrerà valutare come, in futuro, la giurisprudenza considererà il trasferimento di denaro di provenienza delittuosa (vale a dire l’importo corrispondente all’illecito risparmio d’imposta) da un conto corrente a un altro, ad esempio all’interno di gruppi societari in cui la capogruppo svolga funzioni di tesoreria generale; tale operazione, infatti, secondo la più rigida giurisprudenza venutasi a formare sul diverso tema del riciclaggio, potrebbe integrare gli estremi anche dell’autoriciclaggio.

B) Analizziamo, ora, il reato di dichiarazione infedele.

Per quanto riguarda la “dichiarazione infedele” si deve tener presente che, in seguito alla novella legislativa contenuta nel D.Lgs. n.158/2015, risultano più limitati, rispetto al passato, i casi in cui il reato è integrato.

Inoltre, in seguito alla riformulazione del concetto di abuso di diritto ex art. 10- bis, Legge n. 212/2000, anche le operazioni elusive non integrano il reato di dichiarazione infedele.

La rilevanza penale della dichiarazione infedele, ferma restando la punibilità dell’omessa dichiarazione di elementi attivi (volgarmente detto nero), è, dunque, ormai limitata alla contabilizzazione di costi inesistenti, per giunta privi di documentazione, la quale, se presente, farebbe scattare il più grave reato di dichiarazione fraudolenta precedentemente analizzato.

Per ciò che a noi interessa in questa sede, dunque, al fine dell’individuazione di aree di rischio penale-tributario, occorrerà porre l’attenzione alle ipotesi di ripresa a tassazione di spese non sufficientemente documentate, poiché, ad esempio, recanti un oggetto eccessivamente generico.

Oppure, sotto il profilo dei ricavi, la loro rettifica con metodi di accertamento analitico-induttivo (ad esempio, presunzioni di onerosità di finanziamenti concessi a società del medesimo gruppo d’Imprese, oppure presunzioni di vendite calcolate sulla base delle rimanenze di magazzino).

Anche in questo caso, dovranno essere coinvolti i responsabili delle funzioni di finanza e contabilità, ed occorrerà istituire dei controlli aziendali a presidio dei rischi individuati dall’analisi della normativa di riferimento.

Occorrerà, quindi, definire regole comuni e standard di comportamento delle varie funzioni al fine di poter porre in essere controlli rigorosi in relazione agli ambiti aziendali ritenuti a rischio di incorrere in reati di dichiarazione infedele e, dunque, di autoriciclaggio.

C) Passiamo all’analisi del reato di omessa dichiarazione.

Per quanto riguarda questo reato l’ipotesi più frequente che si può incontrare è quella in cui, a seguito di indagini fiscali, organizzazioni operanti sul territorio italiano, facenti capo a soggetti giuridici stranieri, vengano riqualificate dalle autorità fiscali come stabili organizzazioni di società estere.

Questa ipotesi, purtroppo frequente, determina l’individuazione, ex lege, a seguito di accertamento tributario, di un soggetto economico che il Fisco ritiene, sino a quel momento, sconosciuto e, dunque, reo di omessa dichiarazione.

Ne deriva che, l’ammontare dell’illecito risparmio di imposta, conseguente all’omessa dichiarazione, quando reimpiegato in azienda, viene considerato utilizzato dall’Ente in violazione delle norme sull’autoriciclaggio, poiché un tale comportamento integra un utilizzo di utilità provenienti da reato, idoneo ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.

Per non incorrere, quindi, nelle rilevanti conseguenze sanzionatorie sia dal punto di vista tributario che penale, nonché nella connessa responsabilità dell’Ente ex D.Lgs. n. 231/2001, i soggetti esteri che operano stabilmente nel territorio nazionale dovrebbero adottare modelli di controllo atti ad evitare il rischio di contestazione di una stabile organizzazione occulta, analizzando la normativa fiscale di riferimento ed adeguandovisi.

D) Concludiamo con una veloce panoramica sugli altri reati tributari di cui al D. Lgs. 74/2000 sopra elencati.

Nei paragrafi precedenti abbiamo illustrato, entrando seppur brevemente, nel dettaglio, alcune delle attività necessarie per la redazione di un Risk Assessment volto a contrastare alcuni specifici reati, un modello adeguato, però, dovrebbe prendere in esame tutti i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.

Non sono, infatti, esenti da contestazioni connesse all’autoriciclaggio:

–  la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (si pensi alla creazione di negozi simulati utilizzati per conseguire un illecito risparmio d’imposta);

– l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (che sempre prevede un compenso corrisposto dall’utilizzatore delle fatture fittizie, possibile oggetto di autoriciclaggio da parte dell’emittente);

– l’occultamento o la distruzione di documenti contabili (in quanto diretto all’evasione fiscale, con conseguente illecito risparmio d’imposta);

– gli omessi versamenti di ritenute certificate e dell’IVA;

– l’indebita compensazione;

– la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, con un reimpiego in attività imprenditoriali delle disponibilità economiche sottratte alla procedura di riscossione coattiva delle imposte, che può sicuramente rientrare nella previsione della nuova norma incriminatrice di autoriciclaggio.

In tutti questi casi, come visto, occorre individuare con precisione il processo aziendale “sensibile”, che di volta in volta va identificato nella funzione legale (nel caso di predisposizione di contratti simulati), contabile, di finanza o tesoreria, ed occorre, poi, predisporre protocolli diretti a disciplinare rigorosamente le procedure che governano le varie attività connesse alle funzioni sensibili.

     4.) Conclusioni.

Visto tutto quanto sin qui illustrato, appare evidente come sia utile, per le Imprese, prendere coscienza di come la miglior difesa per evitare che venga loro imputata una responsabilità amministrativa per autoriciclaggio sia una preventiva azione di Tax Compliance che porti all’adozione di un adeguato sistema di  protocolli e procedure volte al monitoraggio dei rischi fiscali.

Solo un adeguato Tax Control Framework integrato nei modelli di gestione e controllo previsti dal D.Lgs. n. 231/2001, può costituire un utile mezzo di prevenzione rispetto agli ormai sempre più incombenti rischi fiscali.

È dotandosi di un tale strumento, infatti, che l’Ente può ragionevolmente pensare di evitare dannosissime imputazioni per l’autoriciclaggio dell’illecito risparmio fiscale derivante da reati fiscali.

È, infine, il caso di considerare che l’adozione di un Tax Control Framework, ossia un modello per la gestione dei rischi fiscali, a mio avviso, potrebbe anche rivelarsi un utile strumento di facilitazione per l’accesso al credito.

Nulla di più, però, in questa sede, può essere detto su quest’ultimo complesso argomento che, da solo, comporterebbe un ponderoso approfondimento.

  1. Avvocato  in Como e Milano
  2.  Ai sensi dell’art. 648-ter 1 c.p., l’autore di qualsiasi delitto non colposo è punito con la reclusione da due a otto anni se “impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
  3.  Risk Assessment.
  4.  Gap Analysis.